Il sogno presso gli antichi Greci. Scritto da Lorenzo Carrea.
Nelle opere greche di epoca antica sono innumerevoli i riferimenti ai sogni e a simili esperienze afisiche al confine tra la sfera onirica e quella allucinatoria. Presso gli antichi Greci e Romani il sogno, elemento fondante della vita al pari delle esperienze diurne, godeva di grande importanza ed era da molti considerato un mezzo per interpretare il futuro. Assai diffuse erano, fino almeno all’epoca ellenistica, le figura degli interpreti di sogni, spesso ciarlatani che nei mercati e sulle piazze per pochi denari elargivano preveggenze.
Sembra che anche Alessandro Magno portasse con sé un interprete, Artemone, e che si servisse di costui perché dai sogni del grande condottiero ricavasse l’esito delle future battaglie. Già con Omero, in epoca arcaica, i personaggi epici sono spesso visitati da εἴδωλα, ovvero simulacri, entità autonome ed esterne che aleggiano sul capo del dormiente e avviano un dialogo con esso. Sono spesso amari sogni di rimprovero, come quello del XXIII libro dell’Iliade, dove Patroclo, ucciso ma non ancora sepolto e che pertanto non può neppure trovare pace nell’Ade, rimprovera il disperato Achille della sua indolenza.
L’immagine del sogno come di una visione a sé stante ed estranea al dormiente è propria della letteratura greca e attraversa molte delle sue fasi. Un altro esempio molto più tardo ed anch’esso assai significativo del contatto con l’onirico ci proviene da Luciano, autore di origine siriana del II secolo a.C. In una delle sue opere più note, “Storia vera”, l’autore stesso e i suoi compagni, impegnati in un viaggio dalle infinite e fantastiche peripezie, approdano all’Isola dei Sogni e lì vedono le porte da cui quelli escono per visitare i mortali.
Omero ne aveva individuate due: l’una di corno e dai sogni vani e fedifraghi, l’altra d’avorio e dai sogni veritieri. Luciano afferma invece che ce ne sono quattro e che le porte di cui parla Omero sono soltanto le più vicine al mondo degli uomini, poiché rivolte al porto dell’isola. Affacciate invece alla “pianura della mollezza” sono le porte di ferro, dai sogni crudeli, e quella d’argilla, dai sogni libidinosi. La riscrittura creativa della tradizione, tipica in Luciano, dipinge qui in modo quasi ludico l’esperienza onirica, ma non per questo privandola di legittimità e anzi indagandola fin dalle fonti.
Quanto agli antichi medici, presso molti di loro era diffusa l’idea per cui il sogno fosse un autorevole strumento di prognosi: infatti l’anima, sollevata dal dover badare alle esigenze della vita pratica, poteva meglio recepire i segnali del corpo e rielaborarli attraverso le esperienze oniriche. Dopotutto, forse anche per noi uomini di oggi, apparentemente molto distanti da tali considerazioni e senz’altro meno attenti a esperienze così inconcrete, il più alto grado di libertà raggiungibile è proprio quello che viviamo nei sogni quando, sciolti da ogni catena fisica, ci abbandoniamo ai nostri desideri inconsci.
Fonti: Omero, Iliade, libro XXIII, vs. 35-108; Corpus Hippocraticum, ΠΕΡΙ ΔΙΑΙΤΗΣ Δ, LXXXI, LXXXVII, LXXXVIII; Luciano, Storia vera, libro II par. 32